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Mediterraneo Foriero

OFFICINA* 37 | aprile-giugno 2022

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“OFFICINA* 37 ha raccolto contributi in grado di muovere la barra della ricerca da una rotta retrospettiva a una visionarietà prospettiva, per descrivere la spiccata contemporaneità rigenerativa di un Mediterraneo foriero. All’inizio di questo terzo millennio – ma già dai decenni precedenti – è possibile decifrare tra le pieghe di storie e geografie mediterranee una certa anticipazione di paradigmi che solo in seguito vengono riconosciuti, codificati e, in qualche modo, persino brandizzati come inediti”

Sommario

Niente di nuovo sotto la vernice

Voglio pensare che il privilegio di scrivere l’introduzione per un numero di una rivista autorizzi il distacco, per un momento, dall’osservanza della stesura di un articolo scientifico-compilativo, bordeggiando senza comunque perdere di vista la costa, la terra ferma, sulla quale è possibile edificare ragionamenti che per il conforto di molti si accosterebbero, così, alle scienze dure, in una navigazione anomala ed evocativa fatta di reminiscenze, osservazioni e intuizioni comunque strutturanti una rotta.
Del Mediterraneo è stata detta ogni cosa. In seno ad esso, come primo sale, hanno preso vita narrazioni, congetture e miti che si ripetono e trasformano all’infinito in un fiume carsico che continua a scorrere: un magma che talvolta esce allo scoperto, si cristallizza in tutto e nel suo contrario. Il Mediterraneo è il luogo in grado di mettere pericolosamente in crisi la formula forse più cara agli architetti, less is more, in favore di quel sovrabbondante accatastamento di elementi tangibili e intangibili che rende possibile ogni cosa. Nella storia, osservatori sufficientemente distanti da esso hanno attinto e generato visioni lontane dalla realtà: sensazionali equivoci durati secoli che hanno funzionato molto meglio come speculazioni intellettive e invenzioni progettuali che come analisi del reame meridiano. Ma nemmeno per chi può considerarsi in maggior misura vicino al pensiero mediterraneo, per ragioni geografico-culturali, risulta agevole leggerne lo schema e la parabola: immersi nella corrente che attraversa questo mare, non viviamo un adeguato distanziamento storico né emotivo. Tesi tra Alfeo e Aretusa, in un profluvio inventato che manipola fonti e obiettivi, possiamo tuttalpiù azzardare cronache intersoggettive alla maniera dei portolani: carte nautiche ibride, dalla componente misurabile e narrativa, utili per riconoscere un ambito, per non smarrire una rotta, per identificare un traguardo o, in caso di pericolo, quantomeno rientrare in un porto sicuro.
Lungo il bordi di questa misurabile ma difficilmente trattabile condizione, mito e passato, componenti assai ingombranti quando si parla di Mediterraneo, prendono spesso il sopravvento in favore di una marcata e confortante celebrazione di un’identità dell’essere piuttosto che del fare.
In viaggio tra l’Italia e la Grecia, da bambino restavo ammaliato dalle navi su cui m’imbarcavo: com’era possibile che l’uomo mettesse assieme materiali, tecniche, aspirazioni e costruisse quelle macchine di metallo candido, accecanti sotto il sole e sognanti la notte con le loro luci? Amavo guardare dal ponte, attraverso i correnti orizzontali dei parapetti, le luci della costa, quasi sempre osservabili, solcando bracci di mare misurabili con lo sguardo e confortevolmente omologhi. Le navi avevano nomi mitologici, di antichi toponimi preclassici ed eroi per lo più minoici – ancora una volta la supremazia del passato – ma nascondevano una natura assai diversa: altri enigmatici lemmi, in alfabeti lontani, si potevano scorgere su boccaporti o sotto lo smalto bianco, leggibili in rilievo. Che choc apprendere sul campo, e da rivelazioni riservate, che quelle stesse navi in apparenza così ineluttabilmente mediterranee e nuove, non erano altro che traghetti molto più vecchi, fatti arrivare dal Sol Levante, trasformati da carpentieri di modesti cantieri della baia di Salamina. Ecco l’inganno mediterraneo! Ancora il fiume carsico della trasformazione continua e dissimulata. Ancora una volta il rinominare una medesima entità (una nave, in questo caso, in luogo di un dio o di un eroe) preesistente, prelevata altrove, trasformata. Ripensandoci, a bordo di quelle navi un bambino viveva, in piccolo, lo stesso trauma da imprevista evidenza della policromia dei reperti greci quando nell’Ottocento gli archeologi studiarono sistematicamente le testimonianze dell’antichità. Allo stesso tempo questi riscontri e ricordi d’infanzia rilevavano già esperienze di up-cycle e circular economy su vasta scala (parliamo delle principali flotte commerciali del Mediterraneo).
È guardando a questa attitudine che OFFICINA* 37 ha raccolto contributi in grado di muovere la barra della ricerca da una rotta retrospettiva a una visionarietà prospettiva, per descrivere la spiccata contemporaneità rigenerativa di un Mediterraneo foriero. All’inizio di questo terzo millennio – ma già dai decenni precedenti – è possibile decifrare tra le pieghe di storie e geografie mediterranee una certa anticipazione di paradigmi che solo in seguito vengono riconosciuti, codificati e, in qualche modo, persino brandizzati come inediti.
Pensare a pratiche circolari non significa, però, solo intervenire in ambito economico e di produzione. Il paradigma presuppone l’affinamento di abilità di riuso che trascende la produzione tangibile e sconfina nell’ambito delle idee. Questo numero è occasione per fare il punto su tali speculazioni di riuso e trasformazione, anche apparentemente meno eclatanti e sfuggite all’occhio assuefatto da un certo tipo di celebrazione, nascoste nell’inesauribile fiume sotterraneo che continua a scorrere e a trasfigurare ogni cosa. Stefanos Antoniadis

Summary

Nothing New Under the Paint

I want to think that the privilege of writing the introduction for a journal issue authorizes the detachment, for a moment, from the compilation of scientific-structured paper, skirting without losing sight of the coast, the mainland, on which it is possible to build arguments that, for the comfort of the most, would thus approach the hard science, in an anomalous and evocative navigation made up of reminiscences, observations and intuitions, however structuring a route.
Everything has been said about the Mediterranean. Within it, as first salt, narratives, conjectures and myths have come to life, repeated and infinitely transformed into a karst river that continues to flow: a magma that sometimes springs out, crystallizes in everything and its opposite.
The Mediterranean is the place capable of dangerously undermining the “less is more” statement, beloved to the architects, in favor of that overabundant stacking of tangible and intangible elements that makes everything possible. In history observers sufficiently distant from it have drawn and generated visions far from reality: sensational misunderstandings spanning centuries that worked much better as intellectual speculations and design inventions, than as analysis of the meridian realm. Even for those who can consider themselves closer to Mediterranean thought, for geographical-cultural reasons, it’s not easy to read its scheme and trend: immersed in the sea current that crosses this sea, we do not experience an adequate historical or emotional distance. In tension between Alpheus and Arethusa, in an invented flood that manipulates sources and arrival points, we can at best risk inter-subjective chronicles in the manner of pilot books: hybrid nautical charts, with a measurable and narrative component, useful for recognizing an area, not to lose a route, to identify a destination or, in case of danger, at least return to a safe harbor.
Along the edges of this measurable but difficult condition, myth and past, very cumbersome components dealing with the Mediterranean, often take over in favor of a marked and comforting celebration of an identity of being rather than doing.
Traveling between Italy and Greece I was fascinated as a child by the ships I embarked on: how was it possible that mankind could combine materials, techniques, aspirations and build those white steel machines, blinding under the sun and dreaming of the night with their lights? I loved looking at the lights of the coast from the deck, through the horizontal currents of the protections, almost always observable, crossing sea arms that can be measured with the eye and comfortably homologous. The ferries had mythological names, of ancient pre-classical toponyms and mostly Minoan heroes – once again the supremacy of the past – but they hid a very different origin: other enigmatic letterings, in distant alphabets, were observable on hatches or under the white paint, legible in relief. What a shock to learn on board, and from confidential revelations, that those same ships, apparently so ineluctably Mediterranean and brand new, were nothing more than much older ferries, brought there from the Rising Sun, transformed by carpenters of modest shipyards in the Bay of Salamis. There it is the Mediterranean deception! Still the karst river of continuous and disguised transformation. Once again the renaming of the same entity (a vessel, in this case, in the place of a god or a hero) pre-existing, taken elsewhere, transformed. Thinking back, on board those ships a child experienced, in a nutshell, the same trauma from unexpected evidence of the polychromy of the Greek finds when in the nineteenth century archaeologists systematically studied the evidence of antiquity. At the same time, these findings and childhood memories already revealed up-cycling and circular economy practices on a large scale (we are talking about the main commercial fleets in the Mediterranean).
It is by looking at this attitude that OFFICINA* 37 has collected papers that move the pace of research from a retrospective route to a visionary perspective, to describe the marked contemporaneity of a premonitory Mediterranean. At the beginning of this third millennium – but already in previous decades – in the folds of Mediterranean history and geography it is possible to decipher a certain anticipation of paradigms that are only later recognized, codified and, in some way, even branded as new.
Thinking about circular practices does not only mean, however, only intervening in the economic and production fields. The paradigm presupposes the refinement of reuse skills that transcend tangible production and cross over into the intangible context of the thought. This issue is an opportunity to make a point of reuse speculations, even apparently less striking and far away from the addicted celebration sight, hidden into the inexhaustible underground river that continues to flow and transfigure everything. Stefanos Antoniadis

37a

N.37 aprile-giugno 2022

Trimestrale di Architettura, Tecnologia e Ambiente
Cartaceo ISSN 2532-1218
Digitale ISSN 2384-9029
Reg. Tribunale di Treviso n.245

Indice

Artificio

Introduzione


Niente di nuovo sotto la vernice
Nothing New Under the Paint
Stefanos Antoniadis


Resourcefulness mediterranea
Mediterranean Resourcefulness
Elisa Zatta
Vuoti a rendere
Returnable Containers
Angelo Bertolazzi, Fabiano Micocci
Design(-ing) New Lives
Marco Manfra, Agnese Di Quirico
Design complexus
Marco Marseglia, Francesco Cantini, Margherita Vacca, Elisa Matteucci, Alessio Tanzini, Giulia Pistoresi
Ritorno a un sincretismo foriero
Return to a Harbinger Syncretism
Carlo Federico dall’Omo, Giovanni Litt
Verso una forma
Towards a Form
Matteo Benedetti

Infondo – Traffici marittimi
Stefania Mangini

Rubriche

ESPLORARE
a cura di Margerita Ferrari
PORTFOLIO
Mediterraneo stadia di memoria
Mediterranean Stadia of Memory
Roberta Lotto, Emanuele Salvagno
IL LIBRO
Capire la natura
Understanding Nature
Paolo Fortini
L’ARCHITETTO
Un arcipelago di giardini
An Archipelago of Gardens
Marco Scarpinato, Lucia Pierro
Industria e sostenibilità
Industry and Sustainability
Ambra Pecile, Christina Conti, Giovanni La Varra
I CORTI
Il mare ritrovato
The Rediscovered Sea
Caterina Di Felice
Antica Medma, una città attuale
Ancient Medma, a Contemporary City
Cinzia Didonna
Imparare dall’informale
Learning from Informal
Paola Scala, Maria Pia Amore, Grazia Pota, Maria Fierro

L’IMMERSIONE
Archetipi contemporanei
Contemporary Archetypes
Alessia Sala
Lavorazioni, prodotti e rifiuti: upcycle approach in Murano
Processes, Products and Waste: Upcycle Approach in Murano
Paola Careno, Stefano Centenaro, Filippo De Benedetti
SOUVENIR
La casetta dei mugnai

The Miller’s Small House
Letizia Goretti
IN PRODUZIONE
Innovazione, economia circolare e sostenibilità
Innovation, Circular Economy and Sustainability
Roshan Borsato, Enrico Polloni
AL MICROFONO
Umane visioni

Human Visions
a cura di Arianna Mion
CELLULOSA
Il Mediterraneo è…
a cura dei Librai della Marcopolo
(S)COMPOSIZIONE
Per colpa di chi?
Emilio Antoniol

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